Secondo l’innovativa tecnica adottata dalla psicologa americana Jennifer UDLER,[1] i disagi del trovarsi in un setting terapeutico classico possono essere evitati o almeno mitigati assiemando tre noti approcci terapeutici: il dialogo, l’esposizione all’ambiente naturale e gli esercizi mentali.
Le sedute terapeutiche, cioè, dovrebbero essere tenute all’aperto, camminando in ambienti “normali” o immersi nella natura, dialogando fianco a fianco con il terapeuta, senza che il ruolo di quest’ultimo risulti palese agli occhi degli estranei e senza quella costrizione ad affrontarlo vis-à-vis che spesso rende difficile il dialogo aperto.
Questa tecnica risulta particolarmente efficace nei confronti degli 8 su 10 giovani tra i 12 e i 18 anni che, secondo la stima dell’Istituto Superiore di Sanità, soffrono di vario tipo di disagi psichici e comportamentali. Sono infatti tutt’altro che infrequenti nei nostri adolescenti difficoltà di concentrazione, insonnia, attacchi di rabbia e panico, che qualcuno collega anche al quotidiano uso dei dispositivi elettronici, e che comunque possono sfociare in vere e proprie patologie se non vengono affrontati correttamente. Ma Telefono Azzurro e Doxa Kids riferiscono che solo 1 su 10 giovani si dice disposto a farsi curare.
Le difficoltà che incontra lo psicoterapeuta nello stabilire un contatto costruttivo con gli adolescenti sono le stesse che spesso ostacolano la comunicazione tra genitori e figli o in genere tra adulti e minori. In questi casi, sarebbe molto consigliabile evitare l’imposizione diretta (guardami negli occhi!) e avviare invece il discorso in una situazione neutra, come il viaggio in automobile con il genitore al volante, indaffarato coi problemi della guida, o la camminata per andare a svolgere un’attività “neutrale” e di comune interesse. Camminare è già tranquillizzante di per sé, poiché l’esercizio fisico produce endorfine anestetiche ed euforizzanti, e facilita il colloquio informale. Le varie esperienze sensoriali offerte dall’ambiente esterno (rumori, odori, colori) producono intanto senso di realtà e spingono i problemi intimi sullo sfondo, scalzando l’assillo che li vede sempre e soltanto in prima linea, sicché possano essere percepiti con più sereno distacco e le misure curative vengano accolte con più convinta razionalità.
L’ Outdoor Therapy® utilizza queste ed altre tecniche per ottimizzare la relazione terapeutica e i suoi risultati estendendo l’efficacia di questi approcci negli agli adulti.
[1] Carolee Belkin Walker, “Getting my bounce back: how I got fit, healthier and happier (and You can too)”, Washington Post, 20 maggio 2019.