Articolo di Maria Maddalena Ferrari e Michele Perillo
I giovani di molte specie, compresa la nostra, man mano crescono hanno una spinta istintiva a distinguersi dagli adulti e ad acquisire “territori” indipendenti.
Nei millenni, questa spinta primordiale, più pronunciata tra i maschi, si è rivelata vincente per le comunità e ha portato all’acquisizione di nuovi spazi e nuove capacità.
Da quando il progresso scientifico e l’esplosione demografica hanno ridotto la disponibilità di nuovi territori, i giovani ne hanno trovato di simbolici e le nuove generazioni si sono dati linguaggi, usanze, look e regole di condotta “ribelli” allo status quo e adottate anche perché sgradite alle generazioni precedenti: negli ultimi decenni, si sono avvicendate le mode del rock and roll, poi dei capelli lunghi, poi del piercing e dei tatuaggi, del rap, ecc.
L’immersione nei social in rete e negli smartphone è in qualche modo diventata una loro nicchia di isolamento dalla quale sono spesso esclusi gli adulti, anche quando fisicamente presenti, e nella quale semmai è la generazione analogica degli “over 50” ad essere ospite, di solito in condizioni d’inferiorità. Anche per questo – ma non solo – si sono affievoliti il potere degli anziani e la loro autorità/autorevolezza nell’ambito familiare.
Questo modo di appartarsi rende più difficile il dialogo tra le diverse fasce d’età. Vi sono però ambiti in cui la comunicazione personale e il colloquio diretto rimangono insostituibili, pena vari problemi di convivenza sociale e disagi di carattere individuale, familiare o di coppia.
Si è invertito il compito del primo passo per la ricerca del contatto: i “vecchi” chiedono assistenza ai giovani “Millenial” “per l’uso della tecnologia digitale e la comprensione del relativo gergo e spesso la ricevono con malcelata insofferenza. I giovani rivolgono invece le loro domande a internet, il che li fa sentire autosufficienti, poiché l’esperienza e le conoscenze dei vecchi diventano ogni giorno più obsolete. La prolungata convivenza alla quale sono oggi costrette le famiglie in quarantena contro il contagio da coronavirus può offrire però una nuova occasione per la ripresa o l’inizio del dialogo tra le generazioni, che migliori le conoscenze dei rispettivi gusti ed esperienze e riscopra affinità comuni e preferenze condivise per certe attività, giochi, spettacoli o musiche e altro.
Tra quelli che esigono il contatto diretto rientra certamente anche il rapporto dei giovani con gli educatori/insegnanti, che si trova oggi a competere con la pervasività della comunicazione elettronica, l’accessibilità ai siti internet più interessanti e l’attrazione dei luoghi virtuali di socializzazione, come Facebook, Instagram, Linkedin, i gruppi di chat, ecc.
Benché le ricerche non abbiano ancora chiarito se l’uso eccessivo dei telefonini e l’imprigionamento nei social possa avere un ruolo nell’insorgenza di certi disagi psicologici come l’ansia o la depressione o ne sia invece un effetto, a volte si rende comunque opportuno o necessario l’intervento dello psicologo.
Molto si è scritto sull’approccio più efficace da adottare. Uno dei possibili percorsi potrebbe prendere le mosse da altre pulsioni geneticamente impresse dall’evoluzione nella nostra specie: il bisogno di interazione coi consimili, l’esplorazione del mondo naturale e il controllo del rischio.
Gli incontri col terapeuta saranno quindi più interessanti quando si potrà svolgerli all’aperto, in un ambiente che richiami il più possibile la primordiale atmosfera “selvatica” in cui si è evoluta la nostra specie di animali “di branco” (come con le tecniche del walk and talk), e nel quadro di attività impegnative e moderatamente pericolose, magari affrontate in squadra di persone in carne e ossa, che stimolino la socializzazione e la valutazione/collaudo delle proprie capacità, come le escursioni (per esempio di trekking o di canyoning) o altre situazioni create nel quadro della natura come l’ Outdoor Therapy®.