Schermo delle mie brame

Articolo di Maria Maddalena Ferrari e Michele Perillo

Osservatorio TuttiMedia ha organizzato a Roma, un convegno di educatori, neuroscienziati ed esperti di comunicazione, al fine di analizzare comunicazioni virali, interazioni acritiche, espressioni di odio, notizie false e inventate circolanti in rete, col fine di proporre policy e suggerimenti al Programma di ricerca e innovazione Horizon Europe1. Anche il recente articolo di Scientific America “Il tuo cervello nell’era dello smartphone” affronta gli stessi temi degli effetti negativi dell’uso intensivo della rete specie per i giovani ma non solo per loro. E la stampa riporta autorevoli pareri, secondo i quali i giovani che frequentano i social per oltre tre ore al giorno sono soggetti a crisi di ansia.

Secondo Fabrizio Carotti (FIEG), l’uso prolungato di Internet e dei social media riduce capacità di attenzione in altre situazioni, altera la cognizione sociale (la folla che si attraversa diventa ancora più anonima, non si riconoscono amici e non li si saluta, si tende a incontrarli meno sostituendoli col contatto virtuale e spesso compulsivo dei messaggini e dei social, l’atmosfera sociale del luogo è perduta. Per Francesco Gallucci, esperto di neuromarketing, aumenta i disturbi alimentari e influisce sui frame cognitivi (Goffman), i personali schemi interpretativi della realtà e delle situazioni, con conseguenze anche profonde a livello sociale. Si perde nozione di aspetti dell’ambiente esterno, il paesaggio circostante svanisce, la natura reale esce dal campo, gli eventi del contesto non vengono notati né registrati, ecc. Fissare sensi e attenzione sugli schermi riduce il campo di vista e la coscienza della realtà circostante e questo causa spesso incidenti nel traffico e sul lavoro. Recentemente, la magistratura ha riconosciuto l’80% della responsabilità dell’incidente a donna investita sulle strisce pedonali mentre usava il telefonino.

“Lo schermo dona l’illusione dell’invisibilità e induce a comportamenti estremi?” si chiede Derrick De Kerkhove, del Politecnico di Milano, che rileva gli effetti del senso di irresponsabilità alimentato dall’assenza di contatto fisico con gli interlocutori.

Oltre alle notizie non vere, si diffondono in Rete concetti fuorvianti, come la non-necessità delle competenze, l’inutilità dello studio e dell’istruzione, l’uguaglianza di tutti in tutto, l’obsolescenza dell’informazione professionale. La libertà offerta dalla rete è spesso apparente, gli algoritmi guidano le scelte degli individui e fanno credere che qualsiasi argomento on line sia ugualmente importante. Gli algoritmi funzionano per conto loro e diventano sempre più abili nel catturare la nostra attenzione (Marina Geymonat, TIM). Intanto, le grandi aziende (Facebook, ecc.) cominciano finalmente a porsi il problema della regolamentazione.

Si sta verificando una rivoluzione comparabile a quella della stampa, che portò nuove modalità cognitive e comportamentali nella società medioevale: come allora cambiano il funzionamento del cervello, il modo di imparare nozioni e di apprendere abilità (vedasi la facilità dei giovani ad usare attrezzi informatici).

Tutto negativo, quindi? O è solo questione di quantità, corretto approccio e uso? Distinguere tra notizia, informazione e studio? Quel che è certo è che occorre, soprattutto ma non soltanto nei confronti dei giovani, un drastico aggiornamento dei metodi e dell’ambiente didattico ed educativo, della psicoterapia e della comunicazione istituzionale. Gioverebbe di sicuro un ritorno a più frequenti contatti col mondo reale, con la natura e con attività e momenti di socializzazione che richiedano movimento all’aperto in contesti stimolanti e variati, come l’ Outdoor Therapy®.

1 La Gazzetta di Parma, 6 luglio, p. 46, UPI, Parma, 2019.

Foto di Josh Hild da unsplash.com