In questa sezione troverai articoli aggiornati, post ed eventi a cui partecipare..
Tutte le culture umane hanno adottato e praticano qualche forma di commiato ai consimili morti e varie forme di culto tendono a rinviare e prolungare l’addio, nella convinzione di mantenere qualche forma di contatto con il defunto o addirittura nella speranza di poterlo ritrovare vivo in un’altra dimensione.
Anche molti animali, come i delfini e le scimmie, ma non solo loro (“anche gli elefanti piangono”, scrive l’etologo Wan de Waals), mantengono il contatto col conspecifico ferito, malato o morto, difendendolo dai predatori, tentando di nutrirlo e stimolandolo ad una, anche quando impossibile, ripresa. Anche per loro, si tratta di comportamenti consolidati con l’evoluzione, grazie al loro valore protettivo, poiché qualche individuo svantaggiato può riuscire ugualmente a salvarsi con l’aiuto dei congiunti e i predatori vengono dissuasi dall’uso di predare queste scomode specie sociali.
I membri delle specie animali possono vivere solitari (magari eccetto che per il breve periodo della riproduzione, come gli orsi o le tigri) oppure aggregarsi in comunità più o meno numerose e più o meno organizzate. Gli animali solitari hanno meno concorrenti tra i conspecifici, ma le specie sociali godono di altri vantaggi come la protezione reciproca e una maggior efficacia predatoria, sviluppano inoltre una maggiore intelligenza necessaria per gestire la complessità dei rapporti sociali (coordinamento/cooperazione, sistema di riconoscimento individuale, linguaggi). In cambio, perdono però indipendenza e autosufficienza e sviluppano un senso di appartenenza che diventa bisogno della vicinanza e delle interazioni con i membri del branco e i consimili
Molti animali costruiscono o eleggono un luogo che funga da ricovero, che dia protezione dal pericolo e vantaggio nei confronti dell’aggressore.
Si tratta di un comportamento così diffuso che, per esempio, perfino il toro nello spazio aperto dell’arena della corrida individua un’area preferita, benché priva di particolari protezioni – quella che Hemingway chiamava querencia – nella quale si sente più sicuro e nella quale è più pericoloso per il torero affrontarlo, perché è restio ad abbandonarla e tenta di combattere “da fermo” e non a lanciarsi nelle prevedibili cariche scriteriate che il matador è così bravo ad eludere.
Cercare l’avventura è strumento che si è sviluppato e impresso per via evolutiva nella nostra specie (e in quella di diversi animali) per spingerci ad affrontare deliberatamente l’incognito e l’imprevisto anche rischioso. Si tratta certamente di uno dei principali motori dell’espansione e del successo/progresso dell’umanità. Gli individui ne hanno “sete”, come si suol dire, spinti da curiosità e gusto per la novità, brama di risorse o desiderio di elevare il proprio status (elevare rango, anche ai fini del successo riproduttivo) dimostrando forza, ricchezza, abilità o coraggio. L’avventura per antonomasia è quella ad alto rischio, come tipicamente le romanzesche esplorazioni di terre ignote e territori potenzialmente ostili del passato, oppure oggi di luoghi inospitali come lo spazio.
Abbiamo meccanismi protettivi innati che ci aiutano a sopravvivere in situazioni pericolose. Gli apparati sensoriali vista, udito, olfatto, tatto, dolore, ecc. comunicano rapidissimamente al cervello le percezioni o addirittura provocano direttamente, per riflesso, il provvedimento adatto (come il battito degli occhi, lo scostamento rapido della mano da qualcosa che scotta o lo spontaneo gesto di ritorno alla posizione fetale se colpiti da forte rumore improvviso). Il nervo vago ci fa immobilizzare di fronte al pericolo, come accade ad altri animali, per non essere individuati (il movimento è rilevato dalla vista e dall’udito di molti animali – noi compresi – e ne attira l’attenzione) o per sembrare morti. La teoria polivagale del dott. Stephen Porges individua due circuiti funzionali del nervo vago, il “complesso vagale dorsale” (DVC) più antico, che provoca tra l’altro appunto l’immobilizzazione difensiva, e un secondo sistema evolutosi più recentemente, il “complesso vagale ventrale” (VVC), detto anche “sistema nervoso sociale”, che ci spinge ad associarci agli altri per cercare comunicazione e sicurezza.
Per fronteggiare la diffusione del Covid-19, in tutto il pianeta si stabiliscono obblighi di quarantena e si impongono drastiche regole di distanziamento sociale. Il mondo va in rete e pratica il telelavoro e la teledidattica. I banchi delle chiese sono vuoti la domenica, come i parchi, i campi sportivi, i ristoranti e le stazioni dei treni. I soggetti contagiati o a grave rischio vengono ricoverati nei reparti infettivi degli ospedali o posti in quarantena. Il distanziamento sociale è il provvedimento più efficace per rallentare la diffusione, ridurre i numeri dei contagiati e vincere alla fine la guerra al virus. Benché la separazione fisica sia necessaria, ci possono essere ripercussioni per chi viene isolato (specialmente se è affetto dalla malattia e ne prova i sintomi e le paure), per chi subisce la separazione dai figli, parenti e partner, o lutti inattesi senza possibilità di assistenza e di commiato, della percezione di pericolo, dell’incertezza, del disagio fisico, degli effetti collaterali delle medicazioni/cure, della paura di trasmettere il virus ad altri, dell’assillante pressione negativa dei media, i pazienti infettati possono provare solitudine o tensioni per forzata convivenza, rabbia, ansia, depressione, insonnia, pensieri suicidi e presentare i sintomi di stress post traumatico.
Il mondo invecchia, col risultato che le malattie geriatriche diventano ogni giorno un costo maggiore, sia in termini economici che sociali.
Tra queste, una delle patologie più diffuse ed insidiose è la depressione che, oltre ad avere un profondo effetto negativo sulla qualità della vita, è anche associata ad un maggior rischio di mortalità da suicidio e peggiora la prognosi per varie malattie come il diabete, l’ischemia cardiaca e altri problemi vascolari, il cancro, il morbo di Alzheimer, l’abuso di sostanze.
Il suo impatto sulla terza età è particolarmente devastante poiché spesso non viene diagnosticata o non adeguatamente trattata.
Come ci ricorda Anna Fata, esperta di Comunicazione e Copywriting del benesser, un buon salario non sembra da solo un elemento determinante per la felicità dei lavoratori. Una ricerca condotta presso la Princeton University ha scoperto che le persone ben pagate sono relativamente soddisfatte sul lavoro, ma sono poco più felici nella vita quotidiana, perché sono più inquiete, si confrontano con più ansia con i colleghi, non trascorrono il loro tempo facendo più cose che a loro piacciono rispetto a coloro che vengono pagati meno. Abbondanti benefit, ad esempio, non sembrano rendere felici gli impiegati più di tanto, anche se sono all’inizio molto attraenti, e non sono molto efficaci per migliorare le performance aziendali in quanto alla fine il personale ci si abitua. è più importante seguire sette regole di comprovata efficacia:
I giovani di molte specie, compresa la nostra, man mano crescono hanno una spinta istintiva a distinguersi dagli adulti e ad acquisire “territori” indipendenti.
Nei millenni, questa spinta primordiale, più pronunciata tra i maschi, si è rivelata vincente per le comunità e ha portato all’acquisizione di nuovi spazi e nuove capacità.
Da quando il progresso scientifico e l’esplosione demografica hanno ridotto la disponibilità di nuovi territori, i giovani ne hanno trovato di simbolici e le nuove generazioni si sono dati linguaggi, usanze, look e regole di condotta “ribelli” allo status quo e adottate anche perché sgradite alle generazioni precedenti: negli ultimi decenni, si sono avvicendate le mode del rock and roll, poi dei capelli lunghi, poi del piercing e dei tatuaggi, del rap, ecc.
Efficienza: parola magica, che suona come bravura, successo, bellezza, prestigio, risparmio, guadagno, carriera. La si persegue per motivi spesso diversi: etici, estetici, economici e perfino per vanità. Per esempio secondo l’etica Zen, che permea la società giapponese, efficienza significa rispetto per la natura delle cose, per la loro funzione e la loro struttura. La maniglia della porta è fatta per essere prima ruotata e poi tirata. Tirare prima di ruotare produce attrito, rallentamento, fatica da disperdere in calore e suoni di scricchiolio. Produce cioè inefficienza e quindi è immorale, come lo sarebbe il lasciare sul pavimento della fabbrica un attrezzo caduto fuori posto, sia pure per colpa altrui.